Vjosa Osmani, presidente del Kosovo:
«La Serbia? Imperialista come Mosca e coopera con la Wagner»

di Francesco Battistini

In visita a Roma, ha incontrato Mattarella e Papa Francesco, ricordando le tensioni nei balcani: «Belgrado cerca di destabilizzarci perché siamo una democrazia libera. La Nato per noi è fondamentale»

Vjosa Osmani, presidente del Kosovo:

Presidente Osmani, un quarto di secolo dopo le bombe, quindici anni dopo l’indipendenza, come mai il Kosovo è ancora sull’orlo d’una guerra con la Serbia?
«Non direi che sia stato il Kosovo a finire nel baratro di queste tensioni. E non si può dire che aggressore e vittima stiano sullo stesso piano. E’ casomai quello stesso Paese che intraprese le guerre negli anni ’90, ancora una volta, a creare problemi. Purtroppo la Serbia è guidata da chi negli anni ’90 stava al servizio di Milosevic e ha le stesse rivendicazioni territoriali d’allora: han solo cambiato strategia. La Serbia considera il Kosovo, la Bosnia, il Montenegro come Stati provvisori da distruggere, vuole destabilizzarli».

La più giovane presidente del più giovane Stato europeo, Vjosa Osmani, da qualche mese maneggia una delle crisi più pericolose dei Balcani. Barricate serbe, corpi speciali mobilitati, cannoni alle frontiere, spari sulle truppe Nato. Di fronte, l’eterno nemico. E sullo sfondo, ne è convinta, qualcun altro di ben più pericoloso: «La mentalità egemonica di Belgrado somiglia moltissimo all’approccio che ha la Russia, quando crede di tornare all’era imperiale e di prendersi territori di Paesi vicini. E la Serbia gioca seguendo lo schema di Putin. La pacificazione col presidente serbo Aleksandar Vucic non è la strada da seguire, l’abbiamo già visto con Milosevic nei primi anni ’90 quando qualcuno lo considerava un pacificatore. I Paesi democratici devono dare a Belgrado un messaggio chiaro: non permetteranno di trascinare la regione sull’orlo d’un altro conflitto. Per questo, è estremamente importante la presenza della Nato. La Russia vuole spostare sui Balcani occidentali l’attenzione dell’Occidente, per distoglierla dall’Ucraina. E la Serbia minaccia la sicurezza usando forze che cooperano col Gruppo Wagner, comprano armi russe e mandano paramilitari nel Nord del Kosovo a erigere barricate, creare tensioni».

Che prove avete?
«Non posso dare particolari perché, si tratta d’informazioni classificate. Ma lavoriamo coi nostri alleati occidentali per far sì che questi paramilitari legati a Wagner falliscano nel loro piano per destabilizzare il Kosovo».


Ma perché la crisi è riesplosa proprio ora? «Per un paio di motivi. Innanzi tutto, c’è una sempre maggiore influenza russa in Serbia: Belgrado ha dato l’ok all’apertura dei cosiddetti centri umanitari russi, che secondo gli Usa non sono altro che centrali di spionaggio e hanno trasformato il confine col Kosovo in un rifugio per chi è sotto sanzioni europee. La seconda ragione riguarda le gang del Nord Kosovo pagate, sostenute, incitate, armate da Vucic: criminali serbi che sono da tempo nelle black list di Usa e Gran Bretagna, quella che viene chiamata mafia balcanica e che non ama la determinazione con cui la stiamo combattendo e perciò usa la violenza contro di noi. Vucic vi appartiene. Recita il ruolo di regina del dramma, fa l’incendiario e insieme il pompiere: prima utilizza queste gang per destabilizzarci, poi va in giro a parlare di pace».

Il premier kosovaro, Albin Kurti, ha detto però che un accordo coi serbi sarebbe possibile…
«Dal nostro punto di vista, è così. Ma per ballare un tango bisogna essere in due. E la Serbia per ora vuole solo creare crisi su crisi».

Lei viene da Mitrovica, la più problematica delle città…
«Lì, quel che Belgrado sta facendo coi serbi è identico a quel che Mosca fece nel 2014 in Ucraina: agitare una minoranza, dire che ci si muove per ragioni umanitarie e poi annettere».

Che cosa pensò quando Putin, un anno fa, paragonò l’invasione del Donbass all’intervento Nato in Kosovo?
«L’unica cosa paragonabile sono i crimini di Vucic e di Putin. La comunità internazionale intervenne in Kosovo per fermare un genocidio in corso, mentre in Ucraina non c’era alcun genocidio tale da dare il diritto di prendersi dei territori. Questa è la differenza enorme. Quel che accadde nel 1999, un potere democratico venuto a combattere la tirannia, è una cosa che Putin non accetta. Per lui il Kosovo è un errore storico. Mentre invece è una democrazia e un’economia libera che rispetta i diritti e la pace. La Russia non crede in questi valori, combattere il Kosovo vuol dire combattere questi valori».

Ma i diritti della minoranza serba sono spesso calpestati.
«La nostra Costituzione protegge le minoranze più di qualsiasi altra in Europa. Ci siamo ispirati alle migliori tradizioni dei diritti umani, perché volevamo essere certi che ognuno si sentisse sicuro, ben accetto, incluso: noi per primi siamo stati discriminati, sappiamo che cosa significhi. I serbi non hanno mai avuto problemi dopo la guerra: certo ci sono stati incidenti, ma quelli interetnici sono lo 0,03% del totale e stanno calando. Il problema è che i serbi del Nord si trovano al confine e Vucic li utilizza come ostaggi: loro non hanno paura di me, hanno paura delle gang serbe che entrano nelle loro case, bruciano le loro auto, minacciano i loro bambini. Una situazione molto difficile».

I capi storici dell’Uck stanno per essere processati all’Aja. Che cosa s’aspetta?
«Giustizia e rispetto degli standard internazionali: l’aggressore fu la Serbia, noi fummo attaccati. E l’Uck fece una guerra di liberazione per difenderci. Però non interferiremo in nessun modo col lavoro della Corte e rispetteremo il verdetto finale».

Lei all’Aja ha lavorato da giurista: quelle aule possono funzionare come modello, per processare Putin?
«Sì, potrebbero esserlo. Anche se molte vittime non hanno ancora avuto giustizia, anche se molti criminali sono rimasti a piede libero, il Tribunale per l’ex Jugoslavia s’è basato sul principio delle responsabilità individuali, non delle colpe collettive. Se in Ucraina o nei Balcani non si fa giustizia, il rischio è sempre che questi crimini si ripetano».

Lei ha incontrato a Roma anche il Papa. Ma perché a Pristina c’è tanto mistero su Ibrahim Rugova, padre storico e primo presidente del Kosovo, che in punto di morte si convertì al cristianesimo? Non si vuole turbare un’opinione pubblica a maggioranza musulmana?
«Non penso. In Kosovo c’è una grandissima armonia religiosa. E non c’importa che uno sia musulmano, cattolico od ortodosso. La figura di Rugova è difficile da spiegare a parole. Fu la persona che diede voce ai senza voce. Creò alleanze nel mondo e aprì le porte di Paesi forti a una piccola nazione come il Kosovo. Gli siamo grati anche per la sua amicizia con Giovanni Paolo II, che si rivelò uno dei più convinti sostenitori della nostra libertà».

Molti Paesi ancora non vi riconoscono. La Spagna e la Grecia, per dirne due dell’Ue. Un’Europa così divisa vi attrae sempre?
«Non solo l’Europa ci attrae. È l’unico percorso cui guardiamo, non abbiamo mai cercato altrove. Non flirtiamo con altre soluzioni, nei Balcani siamo il solo Paese che non ha mai permesso alcuna influenza russa o cinese. Il 90% dei kosovari è per una posizione europea e atlantica. Vogliamo far capire che aderire all’Ue non è solo un nostro interesse, è anche un interesse geostrategico dell’Europa. Perché Balcani prosperi e sicuri portano a un’Europa libera e pacifica».

Lei è fra i più giovani capi di Stato del mondo. Quasi coetanea di Jacinda Arden, la premier neozelandese che s’è dimessa per il troppo stress e ha colpito per la sua fragilità femminile…
«Per la mia amicizia con lei, quando ho letto della sua decisione, onestamente sono rimasta scioccata. Ma non penso abbia lasciato per lo stress o per i troppi ruoli pubblici e privati. Le assicuro che il lavoro d’un uomo, in politica, è stressante quanto quello d’una donna».

Quando venne eletta, lei fece un discorso alle donne: disse che era venuto il momento d’osare... «Non mi riferivo solo al ruolo femminile. Significava osare in senso più esteso. Nella lotta alla corruzione. E per raccogliere nuove sfide».

24 gennaio 2023 (modifica il 24 gennaio 2023 | 22:45)