mercoledì 20 maggio 2020
Immagini, video e testimonianze mostrano un pattugliatore maltese indirizzare un gommone in avaria con 101 persone verso la Sicilia. E spunta un rifornimento di carburante e un nuovo motore
La motovedetta intervenuta il 12 aprile per spingere i migranti verso Pozzallo

La motovedetta intervenuta il 12 aprile per spingere i migranti verso Pozzallo

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Minacciati di essere riportati in Libia, li vediamo inseguiti da una motovedetta. Molti si gettano in acqua per non tornare nei campi di prigionia. Poi, equipaggiato di un nuovo motore fornito dagli stessi militari, il gommone riprende la rotta e si allontana. Niente di nuovo, se non fosse che a dirottare i migranti verso Pozzallo siano state le Forze armate maltesi.

Stavolta ci sono i filmati, le foto, le testimonianze concordanti dei superstiti, le verifiche incrociate sulle scarse dotazioni alla partenza, dalla costa libica, e quelle rinvenute all'arrivo, nel porto di Pozzallo. E a peggiorare la posizione de La Valletta c'è un'aggravante. Dalle immagini si vede l'isola, segno che il barcone si trovava in acque territoriali, e dunque i profughi erano già ufficialmente a Malta e da lì in alcun modo potevano essere cacciati. Addirittura spinti segretamente verso un altro Paese dell'Ue.

L'inchiesta giornalistica che viene pubblicata oggi in contemporanea da “Avvenire” e “The Guardian” si basa su materiali ottenuti da varie fonti. Costituiscono un atto d'accusa senza precedenti. Le immagini (in queste pagine) e il filmato sul nostro sito quasi non necessitano di essere chiariti. Ma è dai dettagli apparentemente meno vistosi che sono nate le domande a cui le autorità, la politica e i tribunali dovranno dare una risposta anche in sede europea.

Un miracolo, sembrava. Dopo quattro giorni di odissea e 500 chilometri percorsi galleggiando sopra a una profondità media di 1.500 metri, 101 migranti partiti dalla Libia arrivano, sani e salvi, a Pozzallo. Erano salpati nelle stesse ore di altri tre barconi. Uno finirà per essere protagonista della “Strage di Pasquetta” e della flotta per i respingimenti ad opera di pescherecci fantasma rivelata da “Avvenire” e su cui a Malta sono indagati il premier Robert Abela e i vertici delle Forze armate. (QUI I NOMI E LE STORIE DELLE VITTIME)

«È senza dubbio la nuova strategia dei trafficanti, che molto probabilmente hanno trasferito molte persone disperate da una nave madre a una nave più piccola», aveva commentato il sindaco di Pozzallo, Roberto Ammatuna, davanti al gommone con 101 persone. Mai gli era capitato di assistere a uno sbarco da uno di quei canotti, che aveva resistito per oltre 100 ore in mare. Non sapeva, il primo cittadino, che stavolta i facilitatori non erano stati i trafficanti libici. La Guardia Costiera italiana ha confermato di non esserne al corrente: «La risposta è negativa».

I superstiti rintracciati in Sicilia dopo il periodo di quarantena hanno fornito versioni concordanti. «Quando siamo partiti dalla Libia – ha raccontato un giovane sudanese – abbiamo visto grandi navi commerciali. Ma non si sono mai avvicinate a noi». Il terzo giorno, con il mare fortunatamente calmo e le prime luci dell'alba «abbiamo visto Malta. Tutti erano felici e urlavano». Durante l'avvicinamento «siamo stati affiancati da una nave che sembrava turca. Aveva una bandiera rossa con una luna e una stella». Con il megafono qualcuno dell'equipaggio «ci ha detto che eravamo a Malta. Poi sono scesi e si sono avvicinati con una piccola barca e ci hanno detto ancora che eravamo nelle acque di Malta: “Continuate per una distanza di 30 minuti e andate a consegnarvi”. Gli abbiamo chiesto: è possibile che ci porti a bordo e ci accompagni? Ha detto “no, non posso”».

Le immagini consegnate dai profughi ad Alarm Phone e ai giornalisti non lasciano dubbi. In lontananza si vede la costa maltese. Segno che il gommone si trovava a non più di 6 miglia dalla terra ferma, comunque una distanza inferiore alle 12 miglia, il limite delle acque territoriali. I migranti, dunque, erano già ufficialmente a Malta e in alcun modo potevano essere allontanati. Il motore con cui i trafficanti libici avevano messo in mare il barcone aveva retto bene la fatica dei primi 400 chilometri e almeno 6 tonnellate di carico. L'analisi delle immagini ha permesso di individuare il produttore e il modello. Si tratta di un fuoribordo cinese “Parsun Power” da 60 hp, acquistato dai trafficanti libici perché facilmente reperibile a costi più che dimezzati rispetto ai marchi più noti. Curiosamente, però, a Pozzallo il gommone grigio arriva spinto da un più piccolo Yahama da 40 hp.

Le testimonianze dei migranti e i video dei telefonini mostrano come a bordo non vi fosse nient'altro che alcune taniche per rifornire il “Parsun” e nessun motore di riserva. Del resto nella storia dei flussi migratori dalla Libia mai gli scafisti hanno fornito due motori.

Nei giorni successivi allo sbarco in Sicilia, alcuni migranti hanno contattato Alarm Phone, per denunciare cos'era accaduto. E questo i militari maltesi non potevano metterlo in conto. «Quando la nave militare si è avvicinata e ci ha minacciato con le armi, dicendo che dovevamo tornare in Libia, molti si sono buttati in acqua perché nessuno voleva tornare indietro. Vedevamo la costa e prima una barca bianca ci aveva lanciato i giubbotti di salvataggio». La tensione sale. Come si vede nel video, la motovedetta maltese riaccende i motori mentre in acqua urlano, annaspano, molti non sanno neanche nuotare. C'è chi viene assalito dal panico nonostante sia tenuto a galla dal giubbetto.

Nelle immagini non si vede alcun tentativo di salvataggio, ma solo la determinazione a fermare la fuga a nuoto verso la terra ferma. C'è chi il mare non lo aveva mai visto prima di quei giorni. «Non sapevo che l'acqua fosse così salata», ci ha detto uno dei ragazzi tornati poi a bordo. Il rombo del pattugliatore maltese spaventa molti. Il timoniere spinge il mezzo militare tra le persone in acqua, per costringerle a tornare indietro. Virate repentine e veloci alzano il mare, con i migranti che sembrano tante piccole boe arancioni spazzate via dalle ondate.

«Il fine settimana di Pasqua è stato violento e mortale nel Mar Mediterraneo. Poco dopo che Italia e Malta hanno dichiarato i loro porti “non sicuri” a causa del Covid – osserva un portavoce di Alarm Phone, l'organizzazione che raccoglie le chiamate di soccorso – le barche dei migranti sono rimaste alla deriva nell'area di ricerca e salvataggio (Sar) europee, mentre venivano sorvegliate dalle autorità europee in volo. Diverse persone in difficoltà sono state lasciate morire morire di fame o annegare mentre sono state sorvegliate da Malta e Frontex».

Nei giorni dal 10 al 13 aprile quattro imbarcazioni avevano contattato Alarm Phone. Un gruppo di 47 persone era rimasto alla deriva nella zona Sar Maltese e il 13 aprile è stato soccorso dai soccorritori spagnoli della Aita Mari. Lo stesso giorno una seconda barca con 77 a bordo è arrivata autonomamente a Portopalo di Capopassero.

La terza, con 63 migranti, è stata rinviata illegalmente in Libia tra il 14 e il 15 aprile: a Tripoli sono arrivati 51 superstiti e 5 cadaveri, mentre altri sette risultano dispersi. Il quarto gommone, decisamente più sovraccarico degli altri, è quello arrivato autonomamente a Pozzallo dopo la misteriosa sosta davanti alle coste di Malta.

Tutti e quattro i natanti erano stati avvistati dagli aerei di Frontex, l'agenzia europea per i confini. Rispondendo ad “Avvenire”, una portavoce della “polizia di frontiera” comunitaria aveva precisato che «nel corso dei voli di pattuglia durante il fine settimana (tra il 9 e l'12 aprile, ndr) gli aerei di Frontex hanno individuato diverse imbarcazioni in pericolo. In linea con le convenzioni internazionali, abbiamo avvisato tutti i competenti centri nazionali di coordinamento per il salvataggio marittimo (Mrcc) nell'area», dunque le strutture di Roma, La Valletta e, non si sa per vie dirette o attraverso l'Italia, anche la cosiddetta guardia costiera libica. «In base al diritto internazionale – ribadiva la nota dal quartier generale di Varsavia –, gli Stati e non Frontex, sono le uniche entità responsabili del coordinamento delle operazioni di ricerca e salvataggio».

Pochi giorni prima, il ministro delle Infrastrutture Paola De Micheli aveva assicurato proprio ad Avvenire che nel Mediterraneo non c'è nulla che sfugga alle autorità. Perciò è difficile credere che nessuno, oltre Malta, sia consapevole dei respingimenti illegali verso la Libia e dei dirottamenti verso l'Italia.

Il giornalista di Radio Radicale, Sergio Scandura, che svolge anche un'attività di monitoraggio tracciando i velivoli di sorveglianza europei, era riuscito a seguire i movimenti di “Eagle 1”, uno dei voli Ue che poi Frontex ha fatto rimuovere dalle piattaforme per la tracciatura del traffico aereo. Nella comparazione e sovrapposizione elaborata da “Mediterraneo Cronaca”, il sito di Lampedusa diretto da Mauro Seminara, il tracciato del velivolo e le posizioni gps diffuse da Alarm Phone coincidono con millimetrica precisione. Ed è qui, quando “Eagle 1” si allontana, che era entrata in scena la motovedetta maltese P02.

Mentre gli sventurati riguadagnano a fatica i tubolari del gommone per mettersi in salvo, finalmente i guardacoste de La Valletta si avvicinano per tendere delle funi tra il barcone e la motovedetta consentendo a chi era rimasto in acqua di aggrapparsi e tornare sul gommone. Uno dei superstiti ha raccontato quello che un militare maltese aveva urlato: «Malta è colpita da una grave malattia. Forse lo sapete: si chiama Coronavirus. I nostri porti sono chiusi e voi non potete entrare». Davanti all'insistenza del gruppo di profughi, la motovedetta si sarebbe fatta consegnare il telefono satellitare Thuraya fornito dai trafficanti e un apparecchio gps. «Ce lo hanno restituito dopo avere riprogrammato la rotta su 0.0.». In altre parole direzione Nord. E a Nord c'è solo l'Italia.

Al momento di rimettere in moto, il motore “Parsun” di fabbricazione cinese non ne ha voluto sapere. Era stato danneggiato, probabilmente in modo involontario, dalle corde lanciate dal pattugliatore. Per un istante i migranti pensano a un colpo di fortuna: sperano in una resa dei militari e nell'imminente trasbordo verso La Valletta. Accade però quello che le cronache non hanno mai potuto documentare. Sul barcone viene montato un meno potente ma più efficiente “Yamaha 40 hp”. «Ci hanno consegnato il nuovo motore, bottigliette d'acqua e almeno 60 litri di carburante». Abbastanza per non restare a secco. Quando oramai è buio i 101 vengono scortati fino al confine delle acque territoriali.

Prima di venire abbandonati, un militare più giovane, li aveva rassicurati: «Sono stato mandato dal governo, sto salvando la vita delle persone nel Mar Mediterraneo, non vogliamo uccidervi e non vogliamo farvi del male, non vi stiamo minacciando, ma se ci seguite verso l'Italia vi salveremo la vita». Dopo i fucili spianati, le manovre azzardate, la minaccia di un ritorno in Libia, ai migranti quelle parole sono sembrate una consolazione. «Abbiamo fatto come dicevano. Ci avevano dato anche una bussola in una scatola di legno: “seguite sempre 0.0. e sarete in Italia” ci ripetevano». Il mattino dopo entrano nel porto di Pozzallo. È la Domenica di Pasqua. Il giorno dopo, sempre da Malta, respingeranno un altro barcone: 12 morti. E ancora tante domande a cui non solo La Valletta deve rispondere.

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