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martedì, 19 Marzo 2024

Colture arboree e siccità/1: verso una nuova olivicoltura

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I cambiamenti climatici, di cui la siccità è una delle manifestazioni più significative, stanno modificando non solo le nostre produzioni e i tempi di raccolta, ma anche la distribuzione geografica delle colture, fra cui l’olivo che può essere considerato uno dei migliori bio-indicatori dell’evoluzione del clima nel bacino del Mediterraneo. Infatti, la forte variabilità climatica che si sta osservando tra le annate e le stagioni, influisce significativamente sugli aspetti morfologici, la produttività, le caratteristiche organolettiche dell’olio, nonché sull’incidenza e gravità delle malattie. Cosa sta facendo la ricerca in questa direzione?

Il contesto

Il bacino del Mediterraneo è particolarmente influenzato dai cambiamenti climatici. Diversi studi mostrano che, negli ultimi 40 anni, si è già verificato un riscaldamento significativo e le temperature annuali sono ora di circa 1,5 °C più alte rispetto al periodo preindustriale (1880-1899). Nel Centro e Sud Italia è stato registrato l’aumento più intenso delle temperature minime. La temperatura media è aumentata di 0,15-0,30 ° C all’anno durante il periodo 1990–2012.   Inoltre, anche le precipitazioni hanno mostrato variazioni irregolari nelle diverse aree geografiche in Italia. Queste anomalie climatiche determinano un forte stress termico ed idrico sulle coltivazioni agricole. L’incremento delle temperature minime sta determinando un impatto sull’areale di diffusione dell’olivoNel 2000 le aree climaticamente utilizzabili per l’olivicoltura rappresentavano circa il 39% dell’areale Mediterraneo e potrebbero arrivare a circa il 50% nel 2050, interessando altitudini più elevate nel Centro Italia e maggiori latitudini nel Nord Italia.

L’olivo e il cambiamento climatico

Fra tutte le colture, l’olivo può essere considerato uno dei migliori bio-indicatori dell’evoluzione del clima nel bacino del Mediterraneo. Infatti, la forte variabilità climatica che si sta osservando tra le annate e le stagioni, influisce significativamente sugli aspetti fenologici dell’olivo (le varie fasi di sviluppo vegetativo e riproduttivo della pianta), la produttività, le caratteristiche organolettiche dell’olio, nonché sull’incidenza e gravità delle malattie. Sembra che la sensibile perdita di produzione registrata in diversi areali italiani in questi ultimi anni sia dovuta maggiormente a periodi di eccessivo calore primaverile, che influenza la biologia fiorale della pianta, dallo sviluppo della mignola (infiorescenza dell’olivo), all’epoca di fioritura, all’impollinazione ed allegagione (fase che indica che l’impollinazione è avvenuta con successo e da avvio allo sviluppo del frutto).  Questo fenomeno potrebbe in parte spiegare la sensibile perdita di produzione osservata in questi ultimi anni in numerosi areali olivicoli italiani. Purtroppo, in numerosi areali olivicoli da Nord a Sud dell’Italia sono stati segnalati casi di mignole, a diversi stadi, “bruciate” dall’intensa irradiazione solare e dai venti di scirocco (Figura 1).

Fig. 1 – Disseccamento delle mignole dovute all’eccesso di temperatura.

Le alte temperature hanno effetto sul suolo, in termini di aumento del tasso di decomposizione e mineralizzazione della sostanza organica, che ne riduce la capacità di sequestrare carbonio, con rilascio di CO2 in atmosfera e perdita di fertilità chimica; anche il ciclo idrologico del suolo è influenzato dell’aumento della temperatura, che causa una maggiore perdita di acqua per evapotraspirazione, con conseguente riduzione dell’acqua disponibile. La riduzione netta delle precipitazioni implica una maggiore richiesta di irrigazione netta (Nir), soprattutto nelle aree orientali e meridionali del Mediterraneo, caratterizzate da condizioni di particolare aridità. In generale, si prevede un aumento di Nir in ogni area del Mediterraneo per il 2050, con un incremento generale di circa 18,5% o di 70 mm (+/- 28mm) a stagione. Nonostante l’olivo sia una specie xerofila (adattata a vivere in ambienti aridi), probabilmente in un futuro prossimo la coltivazione dell’olivo, sfruttando soltanto le precipitazioni, potrebbe non essere più praticabile in determinati areali. Nell’Italia centro-meridionale è stata ipotizzata una riduzione della produzione olivicola (−34,1 ± 19,1 % come valori medi, fino al 2050) e la riduzione sembrerebbe maggiore quando il periodo di previsione si prolunga fino al 2070. A causa delle scarse precipitazioni la lavorazione del suolo sta diventando molto difficile, creando non pochi problemi sulla gestione dei suoli lavorati. Di conseguenza sta diventando sempre più frequente negli oliveti l’uso dell’inerbimento e la gestione dei residui di potatura. In Calabria gli agricoltori tendono a preferire le zone a maggiori altitudini per l’impianto di nuovi oliveti al fine di mitigare l’effetto del cambiamento climatico. Rapoport et al. 2012 hanno dimostrato che il deficit idrico durante la formazione dell’infiorescenza riduce la fioritura limitando la produzione dei frutti. Tuttavia, l’effetto più drastico sulla produzione si verifica quando il deficit idrico si manifesta all’inizio dell’allegagione.  La carenza idrica per lunghi periodi di tempo può deprimere l’assorbimento di azoto e probabilmente di altri componenti minerali, con conseguenze negative sulla crescita dei germogli e sulle future gemme, pregiudicando la successiva produzione. I tempi, la durata e l’intensità dello stress idrico estivo influenzano in modo differenziato la crescita e la produzione complessiva dei frutti di olivo, in base ai processi di sviluppo dei frutti. Il contenuto di olio sembra essere meno suscettibile al deficit idrico, ma in letteratura si riscontrano risultati non sempre allineati, probabilmente per la diversa risposta varietale.

Ma quali sono le possibili soluzioni da adottare per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici sull’olivicoltura?

Le buone pratiche agronomiche di gestione dell’oliveto volte ad una produzione più salubre e sostenibile favoriscono lo stoccaggio del carbonio – incidendo direttamente sulla riduzione dell’effetto serra – e riducono le perdite idriche. Per l’olivicoltura sono necessari invasi e infrastrutture idriche moderne, oltre a una migliore gestione del suolo, con tecniche volte al contenimento delle perdite idriche, se si vuole consentire al settore olivicolo italiano di rimanere uno dei protagonisti più importanti a livello internazionale, visto che la nostra produzione incide per il 15% su quella mondiale e siamo il secondo esportatore al mondo dopo la Spagna.  La percentuale di oliveti irrigui in relazione alla superficie olivicola nazionale è infatti ancora lontana da un livello accettabile.

L’olivo è una delle specie da frutto più coltivate nelle regioni aride e semiaride del bacino del Mediterraneo; per la sua capacità di resistere alla siccità, è sempre stato tradizionalmente coltivato in asciutto, in impianti a basse densità al fine di aumentare la disponibilità di acqua immagazzinata nel suolo. Nonostante l’elevata resistenza di questa specie ai deficit idrici, è stato dimostrato che l’utilizzo dell’irrigazione anche negli oliveti tradizionali (meno di 300 alberi/ha) aumenta la produttività e risulta addirittura necessaria nei nuovi impianti intensivi (300-600 alberi/ha) e superintensivi (oltre 600 alberi/ha). Fraga et al., 2020 affermano che, sebbene le risorse idriche saranno limitate in climi futuri più caldi e secchi, l’irrigazione può essere una strategia di adattamento al cambiamento climatico.  È stato dimostrato come l’applicazione dei criteri del “deficit idrico controllato” risulti essere produttivamente migliore rispetto a quella a pieno soddisfacimento idrico della coltura, determinando, inoltre, un forte risparmio della risorsa idrica. La tempistica dell’irrigazione è cruciale per ridurre al minimo le perdite di resa. Adeguate risorse idriche dovranno essere garantite soprattutto nelle fasi “delicate” come quella della fioritura e dell’allegagione, per prevenire l’aborto dei frutticini, ma anche successivamente per sostenere l’accrescimento dei frutti e l’inolizione (la produzione della componente lipidica nelle olive, che risulterà ricca in acido oleico e linoleico).

Stress idrico controllato, ridurre l’acqua senza penalizzare la produzione

La tecnica è basata su conoscenze fisiologiche molto approfondite della pianta in relazione alla disponibilità d’acqua, ed i suoi meccanismi di difesa dal deficit idrico nelle diverse fasi biologiche sono sfruttati in senso positivo, permettendo di ridurre l’uso dell’acqua senza sensibili limitazioni delle rese, anzi, in molti casi migliorandole. In pratica l’acqua e lo stress idrico vengono ambedue utilizzati per una positiva regolazione dell’attività vegetativa e riproduttiva della pianta con massimizzazione della resa, della sua qualità e del reddito agricolo. Impiegando lo stress idrico e l’irrigazione nelle diverse fasi biologiche si tenta di indirizzare gli assimilati dalle foglie verso i frutti, svantaggiando la crescita del legno. Le irrigazioni saranno allora effettuate per mantenere un’umidità pari al 70-80% dell’Acqua Disponibile nel terreno solo nelle fasi vantaggiose al frutto, e di solo il 20-25% nelle fasi maggiormente rivolte alla crescita degli organi legnosi della pianta.

L’aumento delle condizioni di aridità durante il periodo estivo osservato in diverse aree olivicole italiane rappresenta un rischio importante per la sopravvivenza dell’olivicoltura tradizionale che dovrebbe avere un riconoscimento del suo ruolo funzionale, paesaggistico e di presidio del territorio come valore aggiuntivo alla minore resa. Tuttavia, anche negli oliveti tradizionali, lo stress idrico controllato è una strategia che consente di fornire all’oliveto la quantità minima di acqua sufficiente affinché non sia alterata la produttività, ma anzi venga favorito un miglioramento delle caratteristiche nutraceutiche del prodotto, con un significativo risparmio delle risorse idriche. 

Negli ultimi anni l’irrigazione di precisione è diventata un aspetto cruciale della gestione dei moderni impianti. Questa pratica consiste nell’applicazione di tecnologie, principi e strategie per una gestione spaziale e temporale della variabilità associata agli aspetti della produzione agricola, in relazione alle reali necessità dell’appezzamento. L’irrigazione di precisione, di solito, implica l’utilizzo della strategia di irrigazione in deficit (ID) vista la sua potenzialità nell’aumentare la produttività dell’acqua. Negli ultimi decenni sono stati sviluppati nuovi metodi che consentono misurazioni non distruttive, automatiche e continue, facilmente implementabili con sistemi di trasmissione dati con accesso quasi in tempo reale da un computer remoto, smartphone o simili.

Figura 2 – Nuovo impianto olivicolo in provincia di Pordenone.

Il miglioramento genetico è considerata una strategia di lungo periodo utile per selezionare e/o sviluppare cultivar con caratteri di resistenza agli stress biotici e abiotici. La scelta varietale rappresenta un elemento imprescindibile nella progettazione di nuovi impianti e il processo di selezione di varietà resilienti è obiettivo prioritario della ricerca nel contesto del Piano Olivicolo Nazionale. La selezione varietale in olivo e l’ottenimento di nuove varietà attraverso incrocio, che risultino resilienti ai cambiamenti climatici, è un punto di forza per il contesto italiano grazie alla enorme variabilità genetica esistente sul nostro territorio. Mentre l’ottenimento di nuove varietà attraverso incrocio è un obiettivo che può essere realizzato in un’ottica temporale di lungo termine, la selezione varietale può invece essere collocata in quella di breve-medio termine. Il CREA-Olivicoltura Frutticoltura e Agrumicoltura di Rende, nell’ambito di diversi progetti finanziati dal Piano Olivicolo Nazionale, sta selezionando varietà di olivo, che meglio rispondono alle criticità che attualmente investono l’olivicoltura italiana a causa dell’impatto del cambiamento climatico. I programmi di ricerca si incentrano primariamente sulla valutazione del comportamento delle varietà di olivo in relazione alla tolleranza allo stress idrico, a patogeni emergenti e riemergenti ed alla selezione di varietà più idonee alla coltivazione in nuovi areali non tradizionalmente vocati.

Figura 3 – Olivicoltura valtellinese: l’olivo come coltura di recupero dei terrazzamenti abbandonati.

Una nuova olivicoltura

Nell’ultimo decennio si sta configurando una nuova olivicoltura in areali localizzati prevalentemente in fasce pre-appenniniche e cis-alpine (Figura 2 e 3). L’olivo compare, o meglio in alcuni casi, ricompare, in regioni quali il Piemonte e il Friuli Venezia Giulia e si spinge sempre più verso areali non considerati ottimali per la sua coltivazione.  

Si tratta di un’olivicoltura nuova, svincolata dalle caratteristiche peculiari dell’olivicoltura tradizionale, quali il legame territoriale della varietà e la obsolescenza degli impianti. Questa nuova olivicoltura può essere concepita come una nuova opportunità, in quanto la latitudine e l’altitudine elevate esaltano le caratteristiche organolettiche dell’olio contribuendo all’ottenimento di un prodotto di straordinaria qualità.

Samanta Zelasco, ricercatore CREA Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura.

Laureata in scienze agrarie, inizia subito la sua carriera come collaboratore di ricerca presso il CREA Foreste e Legno, occupandosi di biotecnologie applicate al pioppo. Si occupa di studi sulla diversità genetica e fenotipica dell’olivo, attua programmi di miglioramento genetico convenzionale e assistito, anche attraverso approcci biotecnologici. Responsabile scientifico e partecipante a diversi progetti sulla genetica, genomica e biotecnologie applicate all’olivo.

#lafrase Chiedono poco, donano tanto.
Sono domestici, ma lasciati a se stessi
Sanno tornare selvatici e sopravvivere.
Sono forti e tenaci ma sanno adattarsi
E così vincono stagioni ed avversità.
Il tempo è loro amico.
Sono maestri di vita
Sono i grandi olivi
(Gianni Pofi)

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