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martedì, 19 Marzo 2024

Acqua in agricoltura (e nel cibo che mangiamo): conoscere per agire 

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Come gestire in maniera efficiente l’uso dell’acqua? Ridurre gli sprechi è sufficiente o è necessario integrare con diverse pratiche e tecniche alternative? Quale ruolo giocano i consumatori? La gestione sostenibile dell’acqua riguarda solo l’agricoltura o ci sono altri attori coinvolti? 

Una risorsa non rinnovabile 

L’acqua in agricoltura non ha mai avuto così tanto valore da quando i cambiamenti climatici ci hanno fatto toccare con mano gli effetti della siccità. E questo è ancora più vero per l’agricoltura! La gestione dell’acqua riguarda da vicino il settore agricolo, poiché la maggior parte dell’acqua è utilizzata in agricoltura.  

Per la FAO, il mondo ha bisogno di produrre circa il 60% di cibo in più entro il 2050 per garantire la sicurezza alimentare globale e deve farlo conservando e migliorando la gestione dell’acqua, un input fondamentale nella fornitura di cibo. Con l’aumento della domanda e della concorrenza, tuttavia, le risorse idriche del pianeta sono sempre più sotto stress, complice anche il cambiamento climatico, la cattiva gestione e l’inquinamento. 

L’impiego dell’acqua in agricoltura quale mezzo tecnico della produzione, pone problematiche peculiari rispetto agli altri fattori produttivi, sia perché, in quanto risorsa naturale, non è producibile industrialmente, sia per la sua caratteristica di escludibilità nel consumo, che comporta una forte competizione con altri usi (civili, industriali, potabili e ricreativi). 

Oggi più che mai l’acqua in agricoltura è indissolubilmente legata al concetto di gestione della risorsa stessa. Le pratiche agronomiche concorrono indubbiamente a salvaguardare questa risorsa e a controllarla, soprattutto laddove i fenomeni erosivi sono consistenti, proprio come accade nel nostro Paese. 

Acqua in agricoltura: come gestirla? 

La gestione dell’acqua è una sfida complessa determinata da tanti fattori, come il clima che sta cambiando, la corretta ripartizione delle risorse idriche, la crescita demografica, gli sprechi alimentari.  

Il cambiamento climatico determinerà un’accelerazione del ciclo della necessità di acqua, soprattutto nelle zone aride e, di conseguenza, una diminuzione della quantità disponibile per abitante, con ricadute evidentemente profonde anche nel comparto agricolo.  

Ridurre gli sprechi ed aumentare l’efficienza attraverso una buona gestione irrigua sono misure che possono concorrere a determinare una produzione agricola costante e, in alcuni casi, un significativo  incremento della produzione agricola. 

Questa migliore gestione dell’acqua in agricoltura non può e non deve essere solo una priorità del settore agricolo, ma necessariamente deve riguardare anche altri attori e settori coinvolti a raggiungere questo obiettivo.   

Un ruolo decisivo per un uso consapevole dell’acqua è quello che possono svolgere i consumatori dei prodotti agroalimentari. Infatti, una attenta gestione dell’acqua in agricoltura non può prescindere dalla trasparenza del suo impiego nel processo produttivo, strettamente correlato al consumo dei prodotti agricoli, che l’acqua contribuisce a generare. Soprattutto perché certi prodotti agricoli richiedono maggiori quantità di acqua per essere prodotti – rispetto ad altri – e su questo è bene che la consapevolezza a livello di opinione pubblica aumenti e si diffonda considerevolmente, per poi generare comportamenti più “virtuosi”. 

Al fine di sensibilizzare ed aumentare le conoscenze relative all’impiego dell’acqua per la produzione di specifici prodotti agricoli, la comunità scientifica negli ultimi quindici anni ha sempre con più forza introdotto il concetto di “acqua che utilizziamo per mangiare”.  

A partire dal 2002, Arjen Hoekstra, mentre lavorava presso l’UNESCO-IHE Institute for Water Education, ha creato l’impronta idrica come metrica per misurare la quantità di acqua utilizzata e inquinata per produrre beni e servizi lungo l’intera catena di approvvigionamento. Questo indicatore, può essere misurato per un singolo processo, come la coltivazione del mais, per un prodotto, come una maglietta di cotone, per il carburante che utilizziamo nella nostra auto. L’impronta idrica può anche dirci quanta acqua viene utilizzata in uno specifico bacino fluviale. 

L’interesse per l’impronta idrica è cresciuto rapidamente dopo la sua introduzione nella letteratura accademica.  Nel 2007 alcune aziende in particolare quelle del settore alimentare e delle bevande come Unilever, SAB Miller, Heineken, Coca-Cola, Nestlé, sono diventate sempre più consapevoli della loro dipendenza dall’acqua e della necessità di essere sostenibili al proprio interno e trasparenti verso il consumatore, di conseguenza hanno aumentato i controlli sull’utilizzo dell’acqua nei propri processi produttivi. 

Per le stesse ragioni, il settore agricolo, ed in particolare quello agroalimentare,  ha scelto di  impiegare l’impronta idrica, con le dovute accortezza circa la stima. Infatti,al fine di evitare facili interpretazioni del volume di acqua espresso da questo indicatore, si è via via chiarita l’esigenza di una sua opportuna e più trasparente comunicazione, nelle diverse forme di acqua (blu, verde, grigia) che lo compongono. L’acqua verde è la quantità di acqua proveniente dalla pioggia utilizzata dalla coltura; l’acqua blu è quella utilizzata prevalentemente per l’irrigazione e proviene da fonti idriche sotterranee oppure superficiali. Infine, l’acqua grigia, ovvero la quantità di acqua necessaria per ripristinare, diluire una contaminazione ad essa apportata. 

Declinare l’impronta in queste tre forme di acqua consente di stabilire il giusto peso sulla risorsa idrica utilizzata per produrre un alimento. Pertanto diventa più semplice comprendere, ad esempio, in linea di principio che una data impronta idrica che impiega una maggiore quantità di acqua verde sarà maggiormente sostenibile di quella che presenta una quota maggiore di acqua grigia o blu. Quindi, la sostenibilità di un determinato prodotto agricolo non è funzione solo del valore, del numero che identifica quella specifica quota di impronta idrica, ma piuttosto, dei valori delle altre tre componenti che definiscono l’indicatore.  

Uno sforzo utile per maggiori approfondimenti, a livello italiano è stato possibile anche grazie alle collaborazioni con le agenzie internazionali ONU, in particolare FAO; una collaborazione che ha portato ad una più precisa metodologia di stima del valore dell’impronta idrica, applicandolo ad una scala territoriale più dettagliata, nel caso specifico in Italia (per maggiori approfondimenti:  

Irrigated farming systems: using the water footprint as an indicator of environmental, social and economic sustainability – Published online by Cambridge University Press). 

Figura 1 – acqua impiegata per prodotto (Fonte: www.waterfootprint.org )

Un ruolo altrettanto importante è quello delle aziende agricole: attraverso programmi di etichettatura idrica e certificazione, che includono sistemi di contabilizzazione dell’acqua utilizzata nel proprio processo produttivo, possono infatti facilitare l’aumento della consapevolezza del consumatore sulla quantità di acqua impiegata per un dato prodotto agroalimentare. Valorizzare i propri processi produttivi virtuosi e, al contempo, evidenziare il loro impatto sostenibile diventa strategico non solo per le politiche ambientali, ma anche per quelle commerciali, dal momento che il consumatore è sempre più disposto a riconoscere questo sforzo, acquistando un prodotto “green”. 

La gestione dell’acqua in agricoltura oggi è fortemente supportata dalle politiche agricole, con azioni dirette e indirette volte a migliorarne l’efficienza ed a ridurne gli sprechi.   

Tuttavia, questo impegno da solo non è sufficiente e non può prescindere dalla tecnologia a disposizione, ed in particolare dalle tecniche di agricoltura di precisione, diventate ormai insostituibili. Questo tipo di applicazioni consente, infatti, di distribuire meglio l’acqua in campo sia in termini di spazio sia in termini temporali. Spesso l’azione combinata di strumenti, quali modelli agronomici e misure in campo sito specifiche, possono incrementare considerevolmente l’ efficienza irrigua e, di conseguenza, la gestione dell’acqua a disposizione dell’agricoltore. 

In questo quadro di sostenibilità e di buoni auspici per un miglioramento della gestione di una risorsa così preziosa non è possibile non tenere in considerazione una attenta e corretta scelta delle colture agrarie più idonee e dei sistemi colturali più appropriati per un dato contesto agricolo: colture idroesigenti, infatti, necessitano di ambienti con adeguate disponibilità idriche. Sebbene tale concetto sia di facile comprensione, troppo spesso si privilegia l’aspetto del reddito rispetto a quello ambientale, preferendo colture difficilmente adattabili a sistemi agricoli carenti di risorse idriche, piuttosto che colture fisiologicamente più adattabili.  

Oggi si presentano sfide importanti, considerate le consistenti minacce e conflittualità, dovute sia a fenomeni ambientali, come la scarsità idrica causata in particolare dalla mancanza di precipitazioni, sia alla complessa gestione dell’acqua tra diversi utilizzi (civile, industriale, agricolo), che ne determinano la disponibilità per le colture in campo. 

Per tutte le questioni sopra riportate e per molte altre non considerate in questa breve disamina diventa importante non trascurare questa fondamentale risorsa naturale per un futuro prospero e ricco sia per l’ambiente sia per tutti noi. Un mondo in cui condividiamo equamente acqua dolce e pulita tra tutte le persone per sostenere comunità fiorenti e la diversità della natura.  

Sono necessarie tecnologie di precisione più intelligenti per l’irrigazione, anche per rafforzare l’adattamento degli agricoltori ai cambiamenti climatici. Il progetto OPERA – Operationalizing the increase of water use efficiency and resilience in irrigation, nel quale il CREA Politiche e Bioeconomia è stato uno dei partner italiani  ha concorso a perseguire tale scopo, infatti  nel progetto sono state attivate due linee di ricerca principali. 

La prima, volta ad identificare le modalità attraverso le quali gli agricoltori possono reagire in modo più flessibile alle difficolta dovute ad una minore disponibilità idrica, con la selezione delle colture più appropriate per adattarsi, anche alla luce delle eventuali opportunità di mercato in condizioni di variabilità climatica. 

La seconda, invece, ha avuto lo scopo di fornire tecnologie intelligenti, operative, che hanno consentito l’identificazione dello stato idrico del suolo e la stima della domanda di acqua delle colture sia a livello di campo, sia a livello territoriale. Ciò, in particolare è stato possibile grazie all’integrazione di dati di diversa natura; in particolare, di quelli satellitari e quelli utilizzati dai modelli di produttività agronomica (approfondimenti sono possibili nella pubblicazione “Integrating Sentinel-2 Imagery with AquaCrop for Dynamic Assessment of Tomato Water Requirements in Southern Italy – al seguente link: https://www.mdpi.com/2073-4395/9/7/404).  

Ulteriori  approfondimenti a guida italiana hanno riguardato, invece, la comprensione dei fenomeni socio economici che governano l’adozione dei sistemi di consulenza all’irrigazione tra gli agricoltori. I risultati di questo studio sono stati ampiamente descritti e riportati nel lavoro “Irrigation Advisory Services: farmers preferences and willingness to pay for innovation” (disponibile al seguente link: https://journals.sagepub.com/doi/abs/10.1177/00307270211002848). 

Filiberto Altobelli
Ricercatore, CREA Centro Politiche e Bioeconomia

Dottore di ricerca in Valorizzazione e Gestione delle Risorse Agro-Forestali. Agronomo, si occupa di ricerca su sistemi colturali e la loro sostenibilità negli ambienti mediterranei; con particolare riferimento all’agronomia ed  alla gestione delle risorse naturali in agricoltura, alle misure di adattamento ai cambiamenti climatici, all’agrometeorologia e competenze specifiche in economia e politica agraria applicate ai sistemi colturali. 

#lafrase Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare (Andy Warhol)

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